Haiti: un Grido per la Pace - 11 marzo 2024
In mezzo ai disordini e alla possibile guerra civile, i missionari cercano di aiutare i bambini e i malati nell’isola devastata e invocano la Pace
Mentre i disordini continuano, e Haiti è di nuovo sulle prime pagine dei giornali internazionali che iniziano a parlare di una possibile guerra civile, i bambini continuano ad avere fame, i malati ad avere bisogno di cure e medicinali e i missionari rimasti sull’isola cercano di mantenere attivo qualche aiuto e servizio per la popolazione.
In questo clima così difficile, la zona dove opera Aksyon Gasmy è ancora abbastanza tranquilla, e domenica Maddalena è riuscita a portare la Comunione nella cappellina e ad alcuni malati nelle vicinanze. Queste alcune immagini inviate da Madda, che con l’aiuto di Jocelene e Anastile restano vicine al popolo di Haiti. Qui sotto, le immagini e le parole che Madda ci ha inviato oggi, 11 marzo 2024.
La violenza continua da anni
Da ormai anni denunciamo le violenze e gli abusi delle gang in Haiti. Siamo abituati alla loro violenza, ai rapimenti a scopo di estorsione per pagare i lussi e le follie dei capi banda e le armi ed i piaceri dei banditi che obbediscono loro. Siamo abituati alle esplosioni di violenza e alle sparatorie improvvise, al chiedere informazioni sui gruppi Whatsapp di sicurezza prima di uscire di casa o prima di scegliere un percorso, siamo abituati all’essere pronti a scappare o a tenere provviste in casa, nell’eventualità di dover rimanere barricati per parecchi giorni, perché fuori sparano.
Siamo abituati anche all’ipocrisia dei capibanda che parlano come autorità e regalano i viveri rubati alla gente affamata per comprare i loro consensi, mentre continuano a uccidere, rapire e violentare. Siamo abituati a subire tutto ciò, ma non ad accettarlo. Ma meno di due settimane fa, il 29 febbraio, abbiamo dovuto essere testimoni di qualcosa di nuovo, un incubo. Senza preavviso, la capitale Port Au Prince è stata scossa da una serie di attacchi armati in molte zone contemporaneamente. Non solo conflitti a fuoco fra gang limitrofe desiderose di ampliare i loro territori a scapito l’una dell’altra, ma combattimenti di un’unica coalizione di tutte le gang contro le forze di polizia, unica presenza garante dello stato.
Una “rivoluzione”, un “colpo di stato” in cui, ed è questo il fattore assurdo, le gang si sono proposte come i liberatori di Haiti dal primo ministro ad interim, non amato dal popolo e che governa senza essere stato eletto dall’assassinio dell’ultimo presidente, Jovenel Moise. Le gang hanno approfittato della sua impopolarità e della sua uscita dal paese per motivi ufficiali, per impedire il suo ritorno sul suolo di Haiti, occupando i due aereoporti e il porto e attaccando ministeri, commissariati di polizia, simboli del governo, ma vandalizzando anche ospedali e scuole. Ciò che più ha sconcertato in questo attacco è la preparazione dimostrata nell’esecuzione di questo piano. Il tempismo perfetto, ma anche la tecnologia ultramoderna: le bande hanno utilizzato anche dei droni da guerra, guidati da professionisti, e hanno pubblicato in tempo reale sui social le immagini degli attacchi e le vari fasi della loro esecuzione.
Capigang influencers
Sempre sui social i vari capigang, vere star di Facebook e di Tiktok, influencers che guadagnano fortune anche solo con queste loro pubblicazioni, manipolano la verità, deformandola, presentandosi come nuovi leader. Siamo ai limiti dell’assurdo, oppure li abbiamo già superati. Nei prossimi giorni si teme qualcosa di ancora peggiore, che porti ad una guerra civile dichiarata, invece di quella implicita che stiamo vivendo. Deformazione della verità, utilizzo malvagio dei social, tecnologia da fantascienza in un paese in cui la metà dei bambini è malnutrita e in cui i farmaci iniziano a scarseggiare, un paese in cui il sistema sanitario è collassato e i bambini e i giovani da anni non riescono a finire normalmente un anno scolastico, bruciando gli anni di infanzia e di gioventù come i cumuli di spazzatura e i cadaveri nelle strade di Port au Prince.
Preghiamo e invochiamo la PACE
A nome di tutti coloro che sono obbligati a restare, a nome di tutti noi missionari, rimasti per scelta, perché il Signore ci ha dato il difficile privilegio di amare profondamente, a nome suo, questa terra così sofferente e questo popolo di martiri, nuova famiglia che lui ci ha donato, lasciatemi invocare PACE.
La pace è l’unico desiderio di chi vive in un paese in guerra, la pace che non è solo il tacere delle armi, ma una vita degna dell’essere umano, nella fraternità, nella solidarietà e nel rispetto, senza paura del proprio fratello, la Vita che il nostro Dio, il Dio della Vita, ha sognato per noi da sempre. La vita che non abbiamo paura a sperare, comunque, e per la quale non abbiamo paura di spendere la nostra. Il Signore Gesù, Principe della Pace, è il garante della vittoria ultima. Maria, Madre Amata, Madre del Perpetuo Soccorso, Regina della Pace, ci accompagni e ci custodisca.
Le voci di altri missionari
Oltre alle parole di Madda, possiamo seguire l’evolversi della situazione con le notizie on line. In questo video della CNN, il giornalista David Culver incontra alcuni missionari che lavorano ad Haiti e racconta le loro difficoltà.
Suor Paisie, della comunità Kizito Family un istituto per i bambini di Port au Prince, legge le regole della scuola, scritte sul muro di una classe: “I bambini devono esser amici gli uni degli altri e andare d’accordo con tutti”. Ma andare d’accordo con tutti è proprio la cosa più difficile da fare ad Haiti. Dopo 25 anni di missione, la suora francese ha passato gli ultimi cinque a creare un posto sicuro per i bambini, di cui molti sono orfani per la violenza delle gang. “Non pensavo che le cose potessero peggiorare,” ammette Suor Paisie nel video, “ma anno dopo anno la corruzione, la violenza e le armi sono aumentate. E gli stessi membri delle bande armate mi chiedono di pregare per loro”. Spesso, infatti, anche i membri delle gang sono poco più che bambini, costretti a uccidere per sopravvivere e poi a dare fuoco ai cadaveri delle vittime per strada.
In un’altra scuola visitata dal giornalista della CNN a Jeremie, le lezioni sono state sospese l’11 gennaio perché l’aumento delle violenze ha reso impossibile agli alunni raggiungere la scuola. Il sacerdote responsabile dell’Istituto dedicato a San Giovanni Bosco si domanda fra le lacrime cosa potranno mangiare, perché oltre a perdere le lezioni, i bimbi hanno anche perso l’unica fonte di sostentamento.